Mi pongo questa domanda: nel dibattito sul cambiamento climatico, i dati hanno ormai un ruolo soltanto folcloristico?

4 dicembre 2020

 

 

 

Supponiamo che una persona vi mostri la sottostante tabella, precisando che è relativa alle registrazioni fatte in merito a determinati eventi estremi, verificatisi nell’ultimo quarantennio in una certa regione e classificati secondo un indice di severità che è oscillato orientativamente nell’intervallo 4–25.

 

 

 

 

N° eventi

Indice medio di severità

1980 - 1989

17

8,3

1990 - 1999

11

12,4

2000 - 2009

5

6,2

2010 - 2019

7

7,6

 

 

 

Se la persona che vi ha fornito la tabella l’avesse accompagnata col commento «guarda come sta aumentando il rischio», senza dubbio avreste pensato che, nel migliore dei casi, si tratta di un buontempone.

 

Ebbene, questo è l’esatto atteggiamento tenuto, in tema di cambiamenti climatici, da un “esperto” francese, come si deduce da quanto segnalato da Mariani e Alimonti sul sito Climatemonitor (www.climatemonitor.it/?p=53830).

 

Ho verificato che si tratta di tale Bruno Parmentier, un ingegnere molto impegnato nel campo della divulgazione ambientale, che credo possa essere trionfalmente ascritto al gruppo dei sacerdoti della catastrofe climatica. Egli infatti sentenzia sul web: “La Francia confina con l’Oceano Atlantico, che è in costante riscaldamento, e i venti dominanti provengono da ovest. È quindi prevedibile che sia la frequenza che la forza e l’area coperta da grandi tempeste aumenteranno notevolmente, con danni sempre più significativi. Possiamo ad esempio ricordare le tempeste del dicembre 1999, Lothar e Martin, quando più della metà del territorio subì venti superiori a 100 km/h, con picchi devastanti da 160 a 180 km/h o Xynthia nel 2010. Anche la più grande foresta artificiale d’Europa, le Landes, che copre quasi 1 milione di ettari, è minacciata dagli incendi, che, come abbiamo visto diventeranno sempre più devastanti e vanificheranno gradualmente le misure preventive prese dopo i drammatici incendi degli anni Cinquanta e Sessanta (quando 300.000 ettari erano scomparsi). Questa regione confina con l’Oceano Atlantico e sarà inevitabilmente soggetta a burrasche sempre più violente”. Accanto a tali parole di eccelso catastrofismo è però pubblicata la seguente figura, relativa alle 40 maggiori tempeste di vento che si sono verificate in Francia dal 1980 al 2019; si tratta di un grafico elaborato da Meteo France, nel quale i colori servono a distinguere visivamente gli eventi in base al loro decennio di appartenenza.

 

È facile allora constatare che gli eventi estremi di cui alla precedente tabella sono proprio le tempeste di vento francesi e che i valori in essa contenuti sono esattamente quelli che si ricavano elaborando i dati dell’istogramma; ne deriva pertanto che le grandi burrasche sulla Francia del ventennio 2000-2019 sono palesemente inferiori rispetto a quelle del ventennio 1980-1999.

 

Mi pare allora che si sia ormai raggiunta la farsa: si mostrano delle statistiche che suggeriscono una riduzione dell’incidenza di certi fenomeni estremi e contemporaneamente si lancia l’allarme per il clima impazzito. Ecco perché mi sono chiesto se i dati abbiano solo una funzione folcloristica nel dibattito sul cambiamento climatico, cioè se servano a dare una parvenza di scientificità ad affermazioni preconcette che – come ben si sa – verranno accolte acriticamente.

 

 

 

Un’importante annotazione in chiusura. Sul sito di Meteo France sono reperibili varie informazioni in merito alla questione delle tempeste.

 

(https://meteofrance.com/changement-climatique/observer/tempetes-et-changement-climatique).

 

Sulle tendenze per i decenni a venire è detto esplicitamente:

 

Ancora una volta, perciò, è stridente il contrasto fra una posizione scientifica seria e la divulgazione che viene fatta sul tema. I ricercatori di Meteo France avrebbero tutta l’autorevolezza per intervenire e spiegare che quanto sostenuto dal Parmentier è una bella invenzione; perché non lo fanno? A mio parere, la risposta è ovvia: per il timore di apparire contrari all’idea, (iper)politicamente corretta, della crisi climatica.