Un ennesimo polpettone sui rapporti tra clima e mortalità

14 luglio 2023

 

Il più recente messaggio che abbiamo ricevuto dai media, in merito alla travolgente catastrofe climatica, è quello relativo ai decessi della scorsa estate in Europa.

Le informazioni derivano dai risultati di un articolo scientifico, recentemente uscito sulla rivista Nature Medicine (“Heath related mortality in Europe during the summer of 2022”, di libero accesso sul web). In questo lavoro gli Autori applicano un metodo per ricavare una valutazione dell’impatto che le alte temperature estive hanno sulla mortalità in Europa. Per il 2022 sono calcolate 61672 morti da calore, nell’insieme di 35 stati europei.

Prescindendo da ogni valutazione sui metodi adottati, ritengo che non si possano fare considerazioni attendibili sui dati del 2022, senza tener conto del vero e proprio stravolgimento della mortalità prodotto dal Covid-19 (nella tabella che vedrete successivamente, si valutano incrementi sul dato atteso di circa il 12 e il 14%, per il 2020 e il 2021; un fatto senza precedenti da un secolo a questa parte). A dimostrazione di una situazione fuori norma, sono anche gli eccezionali valori dell’ultimo dicembre – un mese particolarmente mite, con diffusione ormai molto ridotta del coronavirus – di certo non spiegabili secondo i concetti epidemiologici adottati fino al momento dell’arrivo della pandemia (Italia = +26%, Francia = + 26%, Germania = + 40%).

Estrapolando poi dei trend ottenuti, nello studio in oggetto sono fornite delle (discutibili …) stime su cosa ci dovrebbe attendere nei prossimi decenni, a seguito del riscaldamento climatico previsto. In media per ogni estate, il nostro continente subirà per il caldo:

68100 vittime entro il 2030

94400 vittime entro il 2040

120600 vittime entro il 2050

Ovviamente, queste cifre sono state prese come certe e quindi strombazzate in tutti i principali TG, contribuendo a consolidare l’idea che il calore estivo sia ormai uno dei pericoli più seri per la società. Ebbene, nei prossimi mesi penso di affrontare questi argomenti in sede scientifica, mentre, nella presente sede, mi limito a farvi capire il livello di base ideologica che deve aver guidato gli autori dell’articolo in questione; di seguito le righe iniziali di quest’ultimo, con sottolineata una frase, a mio parere, davvero emblematica.

È appunto sufficiente ragionare su tale frase per dubitare fortemente sull’oggettività complessiva dello scritto. Torno ancora a ripetere che gli effetti del freddo sono assai superiori a quelli del caldo; uno sguardo semplice ai dati disponibili lo conferma facilmente. La tabella sottostante riporta i decessi mensili a partire dall’anno 2000, nell’Europa-28, cioè UE e Regno Unito.

Nella tabella ho evidenziato i valori delle due estati con la maggiore sovramortalità e quelli di due momenti caratterizzati da ondate di freddo; potrete rapidamente constatare che si calcola:

 

giugno-settembre 2003 = + 62500 (rispetto alla media 2000-2002)

giugno-settembre 2015 = + 68900 (rispetto alla media 2011-2014)

febbraio-marzo 2012 = + 85600 (rispetto alla media 2008-2011)

marzo-aprile 2018 = + 82600 (rispetto alla media 2014-2017)

 

Si badi bene che gli esempi del 2012 e 2018 sono stati scelti in quanto si sa essere rappresentativi di effetti sulla mortalità poco o nulla legati alle epidemie virali e pertanto pienamente riferibili alle condizioni climatiche. Ciò per dire che, se volessimo considerare anche altre estati, potremmo parimenti computare svariati ulteriori mesi freddi, nei quali l’azione delle basse temperature sulla salute pubblica si è presumibilmente combinata con quella dei virus influenzali.

È interessante anche rilevare che, se l’ondata di freddo del febbraio 2012 è un fatto in qualche modo noto, quella del marzo 2018 è totalmente ignorata, soprattutto nei suoi aspetti riferibili ai picchi di mortalità. Di seguito due relativi grafici delle minime giornaliere a Berlino; per il 2018 è evidente una fase fredda a cavallo fra febbraio e marzo, seguita dopo alcuni giorni da una seconda, però meno intensa.

Concludo con una delle mie classiche domande retoriche: «Chi ignora numeri come quelli prima riportati (mentre afferma categoricamente che “le ondate di calore sono gli eventi meteorologici estremi con il più elevato impatto in termini di decessi ad essi attribuibili”), può essere considerato affidabile in tema di bioclimatologia?»