Ondata di calore . . . . e di falsità

Pisa, 7 agosto 2018

 

 

 

Come le temperature sul nostro territorio sono salite al di sopra dei valori medi, si è scatenato il consueto putiferio di idiozie in merito al calore ed ai rischi ad esso connessi.

 

In tema di conseguenze del caldo sulla salute umana, ha avuto una certa eco sui media una recente relazione di Legambiente, nella quale, riprendendo i risultati di un’indagine condotta dal Dipartimento di Epidemiologia del Sistema sanitario della Regione Lazio, si dichiarava: «Tra il 2005 e il 2016 in 23 città italiane le ondate di calore hanno causato 23.880 morti e soltanto a Roma, dal 2000, sono circa 7.700 le morti attribuibili alle ondate di calore». L’obiettivo di tale intervento era ovviamente quello di portare l’attenzione sui (presunti) gravissimi pericoli del global warming; infatti Edoardo Zanchini – vicepresidente di Legambiente – ha rilasciato le seguenti parole all’Ansa: «Se vogliamo ridurre i pericoli per le persone e prevenire anche le ondate di calore, servono nuove politiche per le città, risorse e un coordinamento nazionale per aiutare i sindaci di fronte a fenomeni di una portata senza precedenti. Al governo chiediamo di approvare quanto prima il Piano di adattamento ai cambiamenti climatici e di mettere al centro gli interventi che riguardano le città».

 

Mi è parso allora necessario fare una serie di precisazioni, per riportare la questione entro limiti reali; faccio notare che, pur tenendo aggiornate le serie storiche sulla mortalità mensile italiana a partire dal 1950, i valori trattati in questa sede sono riferiti solo ai dati successivi al 2002, in quanto direttamente scaricabili dal sito demo.istat.it e quindi strumento per facili verifiche, da parte del lettore, sulle mie valutazioni.

  • Per quanto concerne gli effetti sulla popolazione delle ondate di calore (come di quelle di freddo), non si deve parlare di morti in modo analogo a certi altri disastri naturali, perché si può soltanto fare un raffronto fra  il numero dei decessi in un dato periodo ed il relativo valore statisticamente atteso, la cui stima è sempre opinabile. Ne risulta quindi che le valutazioni saranno necessariamente affette da un notevole grado di approssimazione
  • Gli eccessi di mortalità, che si verificano in corrispondenza di condizioni termiche eccezionali, riguardano quasi esclusivamente persone anziane (> 75 anni), che si trovavano già in condizioni precarie per ragioni anagrafiche e/o di patologie pregresse. Si tratta in molti casi di un’anticipazione del decesso che sarebbe presumibilmente avvenuto dopo non molto tempo; l’analisi delle serie storiche evidenzia infatti che le annate di forte mortalità sono spesso seguite da altre con un numero di morti assai inferiore alla media, mostrando così una sorta di almeno parziale compensazione nel lungo periodo.
  • In inverno vi sono più decessi rispetto alle altre stagioni. La ripartizione 2003-2017 in % è questa: Inverno = 27,6  Primavera = 25,3  Estate = 23,4  Autunno = 23,7 (in pratica oggi ci attendiamo in inverno circa 27 mila morti in più rispetto all’estate). L’inverno è anche la stagione con la maggiore variabilità interannuale del dato; i Cv, espressi in %, delle serie storiche ammontano infatti a: Inverno = 7,2  Primavera = 5,0  Estate = 5,1  Autunno = 4,7; ciò significa che è in inverno che statisticamente mi devo aspettare dei picchi di mortalità più elevati rispetto alle altre stagioni.
  • Per il periodo 2005-2016, ho sommato gli eccessi positivi di mortalità da me stimati per i mesi di giugno, luglio ed agosto, ottenendo un totale di circa 36800. Tenendo conto che le 26 maggiori città italiane non arrivano complessivamente a 12 milioni di abitanti (su un totale nazionale di oltre 60), trovo poco comprensibile il valore di 23880, di cui parla Legambiente.
  • Sempre per il periodo 2005-2016, la somma degli eccessi positivi di mortalità da me stimati per i mesi di dicembre, gennaio e febbraio è di circa 44500 unità. I tre valori più elevati in questa fase appartengono ai mesi di febbraio 2005, 2012 e 2015 e ammontano rispettivamente a 9700, 9800 e 6700 decessi in più sulla norma (si noti che in estate il massimo è del luglio 2015 con 7200). Vale la pena di ricordare che l’ondata di freddo del gennaio 2017 ha causato un surplus di circa 14500 unità, un valore davvero impressionante e quasi ignorato dal sistema dell’informazione.
  • A chi parla di “fenomeni di una portata senza precedenti” voglio solo ricordare che l’ondata di caldo del luglio 1983 è quella con le conseguenze di gran lunga peggiori (circa +24% di morti nel mese), nonostante che all’epoca la percentuale di soggetti anziani fosse molto minore di oggi. Il leggendario freddo del febbraio 1956 produsse addirittura un +56% dei decessi, sul dato normale di allora.
  • Negli anni più recenti sembra manifestarsi in Italia una ripresa del tasso di mortalità e forse anche del livello di stagionalità dei decessi. In tutto ciò il clima gioca ben poco; il fattore fondamentale è il continuo invecchiamento della popolazione.

 

Fatte queste considerazioni, credo si possa arrivare alle seguenti due conclusioni:

 

  1. Parlare di rapporti fra clima e mortalità, limitandosi agli effetti delle ondate estive di calore non ha scientificamente senso ed è del tutto fuorviante dal punto di vista della divulgazione e della difesa della salute pubblica.
  2. Lanciare allarmi in merito a futuri incrementi della mortalità in funzione dell’ipotizzato riscaldamento globale appare cosa dettata solo da presupposti ideologici, in quanto si può genericamente ritenere che eventuali problemi nella stagione estiva sarebbero comunque abbondantemente compensati dai vantaggi di un clima più caldo in quella invernale. (Nota: chi è fieramente convinto che il global warming produrrà anche un incremento, per frequenza ed entità, delle grandi ondate di freddo, non perda tempo a riflettere su queste mie conclusioni, visto che è ufficialmente autorizzato a credere a qualunque panzana; non c’è infatti modo di far capire a tali persone qualcosa di sensato in tema di cambiamenti climatici.)