Un appello davvero fuori luogo

 

26 ottobre 2022

 

Nello scorso mese di agosto è stata pubblicata questa lettera aperta, firmata da un nutrito numero di persone che possiamo sicuramente considerare come ben rappresentativo del “gotha” italiano degli studi sui cambiamenti climatici.

(https://www.climatemediacenteritalia.it/letteramedia/)

La sola lettura del titolo mi ha lasciato sbigottito, perché vedere un richiamo volto a ottenere una maggiore attenzione dei media sul problema della crisi climatica era davvero sorprendente, considerato il continuo battage che stampa e televisioni fanno sull’argomento. Sono stato tentato di fare subito dei commenti in questa sede, ma ho poi ritenuto opportuno di rimandare per un motivo ben preciso: nella lettera si fa anche riferimento alle elezioni politiche che si sarebbero svolte nel mese di settembre, per cui volevo evitare che qualunque mia considerazione potesse essere interpretata in chiave diversa da quella strettamente inerente al dibattito sul clima.

Per comodità del lettore, riporto il testo integrale della lettera, con le parole in grassetto come nell’originale:

«È nostra responsabilità, come cittadini italiani e membri della comunità scientifica, avvertire nel modo più chiaro ed efficace possibile di ogni seria minaccia che riguarda le persone e il nostro Paese. È dovere dei giornalisti difendere il diritto all’informazione e diffondere notizie scientifiche verificate. Ondate di calore, siccità prolungate e incendi sono solo alcuni dei recenti gravi segnali dell’intensificarsi degli impatti dei cambiamenti climatici nei nostri territori. Tuttavia, le notizie diffuse dai media italiani mancano spesso di informare il pubblico sulle cause di questi eventi e le relative soluzioni. Questo nonostante il consenso della comunità scientifica sul legame tra l’aumento in frequenza e intensità di questi fenomeni e i cambiamenti climatici.

 

Tacere le vere cause dei sempre più frequenti e intensi eventi estremi che interessano il nostro pianeta e non spiegare quali sono le soluzioni per una risposta efficace rischia di alimentare l’inazione, la rassegnazione o la negazione della realtà, traducendosi in un aumento dei rischi per il presente e il futuro delle nostre comunità. Le soluzioni esistono già e necessitano di essere messe in campo con urgenza. Per agire servono volontà politica e dialogo, a tutti i livelli della società, riconoscendo che le cause del cambiamento climatico sono le emissioni di gas serra prodotte dall’utilizzo di combustibili fossili.

 

Il prossimo 25 settembre gli italiani voteranno per eleggere i propri rappresentanti in Parlamento. È importante, soprattutto in questo momento, che i cittadini partecipino al voto con la consapevolezza che il cambiamento climatico è una crisi che riguarda tutti i settori della società e che ha bisogno di essere affrontata dalla prossima legislatura con politiche proporzionate alla gravità del problema. Questi sono anche i messaggi di un recente appello rivolto ai partiti politici italiani pubblicato su La Repubblica Green&Blue.

 

Per queste ragioni, invitiamo tutti i media italiani a garantire una copertura dei temi legati alla crisi climatica e alla transizione ecologica avvalendosi di notizie scientifiche verificate, fonti qualificate ed evidenze solide. L’abitudine di presentare le questioni attinenti al clima dando spazio a voci “negazioniste” scientificamente errate è dannosa per il dibattito pubblico e offusca l’esistenza di un consenso scientifico sulle cause antropiche dell’attuale cambiamento climatico. Nel terzo volume del suo ultimo rapporto, l’Intergovernmental Panel on Climate Change (IPCC) ha ribadito la necessità di una immediata e consistente riduzione delle emissioni dei gas serra già in questo decennio e ha illustrato chiaramente, con una onesta esplicitazione delle incertezze, le opzioni più efficaci per centrare questi obiettivi, con riferimento ai settori dell’energia, dei trasporti, dell’edilizia, dell’industria e nella gestione delle foreste e dei suoli.

 

Siamo ancora in tempo per scegliere il nostro futuro climatico. Siamo ancora in tempo per scegliere un futuro sostenibile che metta al primo posto la sicurezza, la salute e il benessere delle persone, come previsto peraltro dai fondamentali obiettivi europei di riduzione delle emissioni del 55% al 2030 e di neutralità climatica al 2050. Possiamo farlo grazie a una corretta comunicazione, alla buona fede, e alla cooperazione tra noi tutti.»

 

Sui contenuti della lettera, questi sono allora i miei appunti essenziali.

1 – Ancora una volta si vede usare il termine “negazionismo” e non mi stanco di ripetere che trattasi di atteggiamento eticamente riprovevole, in quanto atto a gettare discredito su eventuali voci dissonanti rispetto alle idee che oggi dominano.

 

2 – Come molto spesso avviene, si fa una commistione fra il concetto di Riscaldamento Globale e quello di Crisi Climatica. Le persone, di qualunque livello culturale siano, li confondono totalmente, per cui il relativo dibattito risulta molto falsato.

·        Il Riscaldamento Globale è un fenomeno ben documentato e quantitativamente definito in modo abbastanza preciso. Per quanto concerne i motivi che lo hanno determinato, la frase della lettera ove si rileva addirittura una “abitudine” dei media a seguire un comportamento che “offusca l’esistenza di un consenso scientifico sulle cause antropiche” mi pare come minimo pretestuosa. Non c’è infatti articolo di stampa o servizio televisivo che, parlando di clima, non assegni le cause dei cambiamenti in atto all’incremento in atmosfera della CO2, prodotta da svariate attività umane; alzi la mano chi ritiene di aver notato qualcosa di differente.

·        La cosiddetta Crisi Climatica è invece un concetto piuttosto fumoso che, nel suo uso pubblico, ha ormai sostituito quello stesso di cambiamento climatico. Un concetto che si basa in sostanza sull’accettazione che tutta una serie di eventi meteorologici estremi siano così aumentati (per entità e/o frequenza) da produrre danni sociali sempre più rilevanti. Questa idea non è però supportata da alcuna analisi statistica dei dati disponibili; indipendentemente dal fatto che le varie serie storiche delle diverse grandezze osservabili presentino o meno un trend significativo, non c’è fenomeno estremo che appaia comunque mutato in modo da avere effetti davvero percepibili sull’ambiente. Ne risulta quindi che i “recenti gravi segnali dell’intensificarsi degli impatti dei cambiamenti climatici”, di cui nella lettera, si richiamano soltanto a una percezione popolare, ma non possono avere un reale riscontro scientifico.

 

3 – Ormai la questione degli Eventi Estremi pare aver fagocitato tutte le altre, al punto che le politiche di riduzione delle emissioni avrebbero come obiettivo essenziale proprio quello di limitarne la frequenza e l’entità; di seguito un esempio lampante.

Claudia Tebaldi, climatologa italiana da anni negli USA, coautrice del sesto rapporto dell’IPCC e tra i firmatari della lettera aperta, viene intervistata da Sara Gandolfi nel novembre 2021, per il Corriere.it. Rispondendo alla domanda su cosa ci dobbiamo attendere se la temperatura globale non sarà contenuta entro i +1,5° e si arriverà a +2,0°, risponde così: «Pensiamo al clima di 30-40 anni fa. Chiunque si rende conto che il numero e l’intensità degli eventi estremi sono aumentati. Allora, le temperature erano più basse di mezzo grado. La stessa differenza fra 1,5° – che è superiore all’1,1° attuale – e 2°. Dobbiamo aspettarci eventi estremi sempre più frequenti e dannosi». Osservando l’andamento temporale di fenomeni quali i cicloni tropicali, i tornado negli Usa, le piogge intense ecc., ci sarebbe da chiedersi su cosa si basi l’affermazione “chiunque si rende conto”; senza il martellante battage mediatico su questo tema, sono infatti convinto che quasi nessuno ne parlerebbe.

 

4 – Nell’ambito dei suddetti “gravi segnali”, sono citati nella lettera anche gli incendi. Ebbene, sono costretto ancora una volta a ripetere che non capisco il motivo per il quale essi vengano oggi considerati come una tipologia di eventi meteorologici estremi. La stragrande maggioranza degli incendi è dovuta a imperizia e soprattutto a dolo, per cui un loro eventuale incremento potrebbe dipendere solo in parte molto ridotta da quell’1~2° di aumento, che possiamo genericamente assegnare alle medie estive delle nostre regioni.

In tema di incendi, viene pubblicato ogni anno un Report ad hoc, per conto della Commissione Europea. L’istogramma di sopra è tratto dal documento riferito alla situazione del 2020 e visualizza la serie storica delle aree bruciate nel nostro Paese, a partire dal 1980; si tratta pertanto dei dati da ritenersi ufficiali ai fini della verifica dell’andamento temporale del fenomeno. (Nota: nel Report 2021 non vi è il grafico aggiornato, per cui nella figura ho aggiunto io stesso, in arancio, l’ultima barra, dimensionandola in base al valore riportato nella pubblicazione; per il 2022 non possono ovviamente esservi ancora i dati finali, ma si può dire che quelli parziali sembrerebbero indicare una situazione assai contenuta, simile al livello del 2020).

Ricordando che dal 1980 a oggi le temperature sono sensibilmente salite, un fatto è pertanto inequivocabile: l’osservazione dell’istogramma non suggerisce alcun possibile legame diretto fra riscaldamento climatico e incidenza degli incendi, ma, casomai parrebbe evidenziare nel complesso una relazione inversa, pur nell’ambito di una notevole variabilità interannuale. Gli estensori della lettera aperta ai media sono a conoscenza di queste informazioni (ufficiali)? Quale che sia la risposta a tale domanda, credo che si possano comunque emettere dei giudizi molto negativi sulla questione.

·        Ipotesi 1 – Conoscono i dati = Le affermazioni sono allora formulate sapendo che esse non hanno alcun riscontro scientifico: una scorrettezza di lapalissiana evidenza.

·        Ipotesi 2 – Non conoscono i dati = In questo caso, gli esperti parlerebbero allora di argomenti senza avere le basi quantitative per farlo; un comportamento parimenti ingiustificato per uno scienziato.

 

5 – Infine, vorrei ricordare che, se ci si vuole davvero preoccupare di non offrire spazio sui media a “voci scientificamente errate”, ciò dovrebbe valere anche per la valanga di assurdità che viene riversata sul pubblico e della quale ho fornito tanti esempi negli articoli pubblicati nel presente sito. Sarà solo una coincidenza, ma è curioso che ci si dimentichi proprio di segnalare tutte quelle informazioni (clamorosamente) erronee che contribuiscono a creare l’idea della crisi climatica; informazioni che giudichiamo erronee – si badi bene – non secondo risultanze di applicazioni modellistiche, ma sulla scorta di analisi oggettive dei dati misurati.

Nella lettera si dice che “è dovere dei giornalisti difendere il diritto all’informazione”; ebbene sarebbe allora compito degli scienziati di aiutarli impedendo il diffondersi di notizie folli quali la triplicazione (o anche più) dell’entità degli eventi pluviometrici estremi. È quasi da una ventina d’anni che aspetto di vedere qualcosa del genere, ma temo che la mia attesa si prolungherà ancora per molto.