Climatologia: tanti ne parlano, ma troppo pochi la conoscono

 

23 giugno 2022

 

 

 

Nella scheda “L’Oscar delle idiozie sul clima” (si veda alla sezione “10 Anni”) ci siamo divertiti a scherzare su alcune strepitose castronate che hanno caratterizzato la divulgazione degli anni recenti, in tema di cambiamenti climatici. Le sane risate, che spero ognuno di voi possa farsi, non devono comunque impedire di ragionare su alcune implicazioni che le suddette super-fesserie pongono in evidenza rispetto al dibattito in atto. Si constata in effetti che:

 

·        Non provengono da persone esaltate e prive di preparazione, bensì da esperti che dovrebbero avere un quadro chiaro perlomeno degli ordini di grandezza delle questioni in gioco.

 

·        La pubblicazione delle bufale in oggetto (oltre a quelle del nostro Top-5, decine e decine di altre) non ha mai scatenato alcuna reazione clamorosa negli ambienti scientifici, come invece logica avrebbe voluto; anzi sono state sempre seguite da un imbarazzante silenzio di tutti quegli enti che avrebbero dovuto sentire il dovere deontologico di spiegare che si stavano dando in pasto all’opinione pubblica delle incredibili idiozie.

 

È sin troppo evidente che, in primis, tale situazione non può che essere figlia dell’atteggiamento di assurdo e preoccupante dogmatismo che ormai domina sull’argomento clima, al punto da favorire la nascita di teorie folli, mettendo al contempo all’indice qualsiasi intervento che non sia in linea con l’idea di una catastrofica crisi.

 

A questa piuttosto ovvia interpretazione, credo vada però affiancata un’ulteriore considerazione che invece risulterà un po’ sorprendente per molti lettori: nonostante la grande popolarità mediatica della climatologia, si osserva una diffusa ignoranza di vari suoi elementi di base, anche da parte di molti che se ne occupano per divulgazione o per ricerca. A riprova di ciò, porto un esempio che avevo già trattato nel mio libro del 2019 e che ritengo veramente emblematico. Nel 2009, in una rivista di prestigio internazionale, esce questo articolo, basato su un’analisi statistica delle serie derivabili dall’archivio pluviometrico online del Servizio Idrologico Regionale:

 

 

Il lavoro – almeno a mio giudizio – è di ottimo livello, ma contiene un errore macroscopico del quale è quasi incredibile non accorgersi; tale errore è in un grafico che mostra la serie storica delle precipitazioni annue in Toscana, come risultante dalla media fra le 200 prese in esame dagli autori.

 

 

Dall’esame del diagramma, scaturiscono queste considerazioni:

 

· Per il 1938, si stima un valore di circa 275 mm, che è climatologicamente pressoché impossibile, in ragione del quadro geografico della regione.

 

·      Indipendentemente da quale potesse essere la grandezza rappresentata, il dato del 1938 si scosta in modo nettissimo dalla variabilità della serie; quindi, dovrebbe comunque colpire l’attenzione, suggerendo una verifica sulla bontà della fonte.

 

Questo valore anomalo è in realtà completamente sballato. Deriva infatti da un problema creatosi nel processo di digitalizzazione dei dati contenuti negli Annali Idrologici; diverse mensilità del 1938 non erano state inserite dagli operatori ed erroneamente tale mancanza è risultata nel database come assenza di precipitazione.

 

Gli Autori evidentemente non lo sapevano, ma è incomprensibile come abbiano potuto accettare senza verifica un valore che la climatologia ci dice essere assurdo. Ciò che però è ancor più significativo è che il problema sia sfuggito pure ai revisori (la pubblicazione è condizionata dal superamento della “peer review”), cioè a studiosi che dovrebbero garantire il massimo livello della disciplina. C’è una netta sensazione che, mentre tutti paiono interessati a trattare dei massimi sistemi, determinati concetti di base, unitamente alla conoscenza di certe procedure consolidate, siano oggi ben poco presenti nel bagaglio di tanti che si occupano di climatologia, col risultato di far perdere la necessaria capacità analitica rispetto a tante informazioni che si ricevono.

 

Tornando all’articolo e al suo errore, ci si può chiedere quali verifiche avrebbero potuto eseguire gli Autori per accertarne l’esistenza. La risposta è ovvia: controllare gli Annali, che oltretutto, pur in semplice formato di immagine, sono consultabili anche online. Non c’è nemmeno bisogno di cercare i dati pluviometrici, perché è sufficiente rifarsi alla Parte II, cioè quella dedicata all’idrometria. In essa si trovano infatti anche le tabelle relative agli afflussi mediati sull’intera superficie dei bacini considerati; per il 1938, quanto interessa è a pagina 7.

 

 

Nel caso dell’intero bacino dell’Arno (si veda alla riga “Arno alla foce”), la piovosità media è di 786,4 mm, per cui si evince che il valore del grafico è del tutto privo di senso. Nel complesso, una procedura che, almeno fino a un po’ di tempo fa, sarebbe stata banale e automatica per chiunque facesse ricerca in climatologia, sul territorio italiano; una verifica che in tutto ha richiesto non più di 3-4 minuti di tempo.

 

Nobel per la fisica, ma seguace di Greta in climatologia

 

Una delle tracce dei temi di maturità di ieri era dedicata ai cambiamenti climatici. Si chiedeva ai ragazzi di ragionare sull’argomento, partendo da alcuni brani del discorso che Giorgio Parisi, recente premio Nobel per la fisica, ha tenuto l’8 ottobre 2021 alla Camera dei Deputati. Un intervento – almeno a mio giudizio – così intriso di assurdità e di catastrofismo da far invidia alla ormai mitica Greta Thumberg.

 

Anni fa, un altro Nobel per la Fisica – Carlo Rubbia – parlando ai parlamentari di clima, espresse idee un po’ diverse rispetto a quelle politicamente corrette; non gli venne dato particolare peso, “perché Rubbia non è un climatologo”. Parisi ha invece avuto l’onore del tema di maturità; tutto giusto, in quanto, avendo lanciato un serio allarme sugli iper-drammatici pericoli del global warming, diviene automaticamente un grande esperto in climatologia.

 

Uno dei passaggi “scientificamente ineccepibili” dell’intervento di Parisi è questo: «Negli ultimi anni gli effetti del cambiamenti climatico sono sotto gli occhi di tutti: le inondazioni, gli uragani, le ondate di calore e gli incendi devastanti, di cui siamo stati spettatori attoniti, sono un timidissimo assaggio di quello che avverrà nel futuro su una scala enormemente più grande». Chi ha letto qualcosa dei miei scritti sa bene che la questione degli eventi estremi è quella che mi fa venire l’orticaria; continue affermazioni sensazionalistiche, a fronte di dati che non mostrano alcun cambiamento percepibile. Non voglio annoiarvi con argomenti che ho già proposto altre volte, per cui mi limito a citare un articolo recentissimo uscito su una rivista internazionale.

 

 

Si badi bene che non si tratta di un lavoro di ricerca basato su analisi di dati, bensì di un accurato esame della bibliografia recente (ben 82 sono le voci citate) sulle serie temporali di alcuni eventi meteorologici estremi e di relativi indicatori di risposta, al fine di capire se gli studi effettuati abbiano individuato degli incrementi nei caratteri di intensità e/o di frequenza. I risultati più significativi, come segnalati dagli Autori, sono i seguenti:

 

·     L’intensità giornaliera delle precipitazioni e la frequenza delle piogge estreme sono stazionarie nella maggior parte delle stazioni meteorologiche.

 

·     L’analisi dell’andamento delle serie storiche dei cicloni tropicali mostra una sostanziale invarianza temporale.

 

·      Stessa invarianza temporale anche per i tornado negli USA.

 

· L’impatto del riscaldamento climatico sulla velocità del vento superficiale rimane poco chiaro.

 

·     L’attenzione è stata poi rivolta ad alcuni indicatori di risposta globale rispetto al verificarsi di eventi meteorologici estremi; ovvero disastri naturali, inondazioni, siccità, produttività dell’ecosistema e resa delle quattro colture principali (mais, riso, soia e grano). Nessuno di questi indicatori di risposta ha mostrato una chiara tendenza temporale.

 

Sintetizzando, gli Autori sono così arrivati a dichiarare: «sulla base dei dati osservazionali, la crisi climatica che, secondo molte fonti stiamo vivendo oggi, non è al momento evidenziabile».

 

Siamo allora in presenza di uno stridente contrasto con le parole di Parisi, prima riportate; pertanto, si prospettano queste due possibili ipotesi:

 

1 – Gli Autori dell’articolo sono dei tali incompetenti da non aver capito nulla delle ricerche prese in esame; un’incompetenza ovviamente estesa anche ai revisori della rivista, che avrebbero accettato per la pubblicazione un lavoro del tutto privo di senso.

 

2 – Le frasi di Parisi sono un bel concentrato di assurdità e di ideologia catastrofistica.

 

Il lettore è libero di fare la propria scelta, ma personalmente non ho dubbi nel ritenere logica solo la n° 2.

 

Parisi ha detto ai parlamentari di parlare a nome della pura scienza, ma a me pare evidente che fosse animato da una forte spinta ideologica. Oltre a ciò, verrebbe da chiedersi: Cosa sa di climatologia? Ha mai letto dei lavori inerenti a studi di serie storiche? Ha fatto qualche esame di dati? Per uno scienziato del suo calibro non ci sarebbe alcuna difficoltà a farsi un po’ di cultura in materia, onde poi poter parlare con cognizione di causa. Invece, come ormai prassi consolidata, lo studio della climatologia è ritenuto superfluo; basta una sana dose di catastrofismo per apparire esperti. Se poi hai anche la medaglia "Nobel" sul petto, sei automaticamente un super-esperto.