Un vero articolo scientifico di Climatologia? NO, a me pare soltanto un ottimo esempio di adeguamento dottrinale

 

22 maggio 2022

 

 

 

Ho già avuto modo di sottolineare come l’istituzione dell’IPCC (dicembre 1988) abbia avuto un impatto fortissimo sugli studi di Climatologia e di Scienze dell’Atmosfera, avendo portato molti esperti a cercare di allinearsi alle indicazioni provenienti dai Report periodicamente prodotti dal Panel. In sostanza, al posto della ipotizzata formulazione di paradigmi climatologici mediante procedimento induttivo, si è subito instaurato un meccanismo di tipo deduttivo che, basandosi su un’accettazione a carattere dogmatico dei contenuti dei Report, ha indirizzato molte ricerche verso direzioni prestabilite.

 

In questa nota farò alcuni commenti su un articolo del 1998, in quanto utile esempio per capire come già allora avesse preso corpo la situazione di cui sopra, interessando anche studiosi di riconosciuto prestigio, quali i sottoindicati autori del lavoro in oggetto.

 

 

 

 

 

Prima però di passare a un’analisi di alcuni contenuti dell’articolo, spero sia utile una breve digressione connessa alla figura poco sotto riportata e relativa alla serie storica 1978-2022 del valore annuale di un parametro di non precisata natura; prima di procedere ulteriormente nella lettura, provate quindi a fare un semplice commento del grafico posto alla vostra attenzione.

 

 

Da un esame della figura, credo scaturiscano queste evidenti osservazioni:

 

§  Dopo il 2006 i valori si abbassano bruscamente, facendo sì che la serie sia composta da due parti ben distinte tra loro.

 

§  Nel periodo 1978-2006 il parametro oscilla attorno a una media di 6,5 circa, senza palesare evidenti tendenze temporali; negli anni successivi la media è di 5,5 circa.

 

§  Si nota anche una riduzione della variabilità nella fase post 2006, rispetto a quella precedente.

 

 

 

Tornando all’articolo, possiamo avere una chiara idea dei suoi presupposti e dell’interpretazione dei risultati raggiunti, in base a una semplice lettura del riassunto, la cui traduzione letterale è la seguente:

 

«I cambiamenti climatici dovuti al potenziamento antropico dell’effetto serra potrebbero modificare il ciclo idrologico, determinando una riduzione delle precipitazioni sul bacino del Mediterraneo. In particolare, potrebbero aversi conseguenze negative sulla penisola italiana, con periodi di siccità prolungati come quello registratosi nel biennio 1988-1990. Per verificare se è già rilevabile una tale variazione climatica, viene qui analizzato l’andamento pluviometrico sul Mediterraneo centro-occidentale per il periodo 1951-1995. L’analisi indica che si è verificata una riduzione di circa il 20% delle precipitazioni totali, fatto che è statisticamente significativo e che può comportare gravi ripercussioni sulla disponibilità delle risorse idriche».

 

 

 

Per la ricerca sono stati utilizzati i dati delle piogge annue di 59 stazioni; 35 ricadenti sul territorio italiano e le restanti 24 ripartite tra Francia, penisola iberica e coste nordafricane. Applicando il metodo di interpolazione di Thiessen, per ogni annata è stato ricavato un valore medio della piovosità per il Mediterraneo centro-occidentale. Gli Autori allora scrivono: «Nella tabella III sono riportati i dati delle medie ottenute e su di essi è stata effettuata un'analisi statistica per studiare l'andamento. I risultati sono espressi nella fig. 3, da cui risulta una riduzione secondo un rateo di 3,2 mm/anno, fatto che per l'intero periodo comporta una riduzione di 142 mm cioè di circa il 21%».

 

 

 

 

 

Quella che nello scritto è indicata come “analisi statistica” è una procedura che chiunque di voi può effettuare in circa 3 minuti. Si copiano i dati della tabella pubblicata su un foglio di Excel, si disegna il corrispondente grafico e quindi vi si fa associare la regressione lineare con relativa equazione; il coefficiente angolare di quest’ultima è appunto pari a -3,237.

 

Non dovrebbe essere difficile accorgersi che la Fig. 3 dell’articolo è identica a quella dell’esempio prima propostovi; variando il periodo nell’asse orizzontale e moltiplicando per 100 i valori in ordinata, il grafico precedente diventa in effetti esattamente identico a quello di Piervitali et al. Ne deriva pertanto che le osservazioni prima fatte si dovrebbero necessariamente applicare anche alla Fig. 3 dell’articolo; invece non vi è nulla di ciò. La presenza di un change-point delle piogge nel 1979 è di una evidenza macroscopica, cosa che è però ignorata nello scritto, con l’effetto di comprometterne – a mio giudizio – buona parte del suo significato e valore scientifico.

 

Pare allora ovvio chiedersi come un salto dei valori, caratterizzato da un livello di confidenza del 99,9%, non sia stato rilevato dagli Autori e nemmeno dai revisori della rivista. Dal punto di vista climatologico la questione è essenziale, perché una diversa visione dell’evoluzione della serie di dati conduce a ben differenti interpretazioni.

 

1 – Se mi limito a parlare di un trend generale (quei -3,2 mm/anno, quale media sul periodo 1951-1995), ho un argomento che ben si aggancia alle ipotesi iniziali di possibili “modificazioni del ciclo idrologico, dovute a cambiamenti climatici causati dal potenziamento antropico dell’effetto serra”.

 

2 – Se invece considero il change-point del 1979 è ben più difficile assegnare al riscaldamento antropogenico un legame con una serie che per un trentennio rimane stazionaria e poi improvvisamente cala di un 15% circa.

 

 

 

Confrontando i due punti ora evidenziati, si può forse capire qualcosa in più sui contenuti dell’articolo e sui motivi che hanno portato a una analisi dei dati così discutibile.

 

 

 

 

 

Sulle relazioni fra l’indice NAO e la piovosità nelle regioni mediterranee

 

 

 

L’indice NAO (Nord Atlantic Oscillation) esprime, in termini normalizzati, le differenze bariche fra l’anticiclone delle Azzorre e la zona ciclonica d’Islanda. Sebbene tale parametro presenti delle variazioni anche notevoli nel corso di uno stesso anno, tende nel complesso a seguire un andamento ciclico con alternanza di periodi di segno opposto di durata polidecennale. È stato rilevato che i valori NAO in inverno hanno una relazione con la piovosità nel Mediterraneo e nell’Europa centro-settentrionale; sinteticamente possiamo infatti dire:

 

  • Fase NAO inverno positiva (cioè quando la differenza barica si rafforza) = le correnti umide di provenienza atlantica sono spinte a nord, determinando inverni miti e molto umidi sull’Europa centro-settentrionale, mentre nel Mediterraneo le piogge risultano scarse.
  • Fase NAO inverno negativa (cioè quando la differenza barica si attenua) = le correnti umide di provenienza atlantica sono spinte in direzione dei paralleli, determinando inverni piovosi nel Mediterraneo, mentre sull’Europa centro-settentrionale si manifestano condizioni di freddo intenso con precipitazioni al di sotto della media.

 

 

In relazione all’articolo di Piervitali et al., ho provato a fare una semplice verifica, ponendo in correlazione i dati di piogge annue da loro pubblicati con quelli rispettivi dell’indice NAO (dicembre-febbraio), tratti dal sito ufficiale della statunitense NOAA. I risultati (si veda la successiva figura) confermano l’esistenza di una chiara relazione inversa, contraddistinta da un livello di confidenza del 99,9% secondo il test di Pearson. Si nota una certa variabilità per valori assoluti dell’indice inferiori a 0,5 ma, al di fuori di tale intervallo, le differenze pluviometriche tra le due fasi opposte appaiono nettissime.

 

 

 

Esaminando allora l’andamento temporale del NAO, si possono ricavare utili indicazioni interpretative in merito alle oscillazioni pluviometriche che si fossero manifestate: nella figura seguente, si osserva in effetti che proprio nel 1980 ha inizio un periodo nel quale prevalgono valori positivi, al contrario di quanto avvenuto nei decenni precedenti. Tale cambiamento potrebbe essere la causa prima del change-point del quale si è precedentemente discusso.

 

 

 

In conclusione, credo che, in relazione alla serie 1951-1995 di Piervitali et al., il calo delle piogge annue possa ben meglio essere spiegato con le variazioni cicliche dell’indice NAO, rispetto al discorso del potenziamento antropico dell’effetto serra.