Anche dei dati ben chiari poco possono contro i dogmi ufficiali
28 febbraio 2022
Nella rivista Lancet Planet Health è uscito nel 2021 un articolo interessantissimo per i risultati contenuti, ma al contempo emblematico di come i dati, anche quando sono incontrovertibili, riescono al massimo a scalfire solo superficialmente certi dogmi sulla catastrofe climatica. Il lavoro (“Global, regional, and national burden of mortality associated with non-optimal ambient temperatures from 2000 to 2019: a three-stage modelling study”, Zhao Q., et al., 2021) consiste in un’analisi a livello globale delle relazioni fra temperatura e mortalità; analisi condotta mediante l’applicazione di un appropriato modello ai dati giornalieri di 730 località (si veda la successiva figura), ricadenti in 43 diversi Paesi.
L’articolo si apre con questa frase: «La temperatura media della superficie terrestre è aumentata con una velocità di 0,07°C per decennio dal 1880, velocità che è quasi triplicata dagli anni ‘90. L’accelerazione del riscaldamento globale ha fatto sì che 19 dei 20 anni più caldi si siano verificati dopo il 2000 con una frequenza, intensità e durata senza precedenti di eventi termici estremi, come le ondate di calore, in tutto il mondo.»
Un evidente omaggio al politicamente corretto sulla crisi climatica, contenente un classico errore della divulgazione corrente che credo però ingiustificabile in sede scientifica: viene infatti comparato il rateo di crescita dell’ultimo trentennio con quello medio di tutta la serie, cosa priva di senso in termini statistici, ma destinata a convincere gli sprovveduti della presunta accelerazione recente del riscaldamento del pianeta. Una semplice osservazione del grafico seguente dovrebbe consentire di capire come stanno le cose; si noti oltretutto che l’incremento recente ha un rateo molto vicino a quello della fase 1910-1945.
Ad ogni modo, la suddetta frase iniziale sembrerebbe adatta a introdurre una ricerca nella quale gli effetti principali sugli eccessi di mortalità sono quelli prodotti dal caldo; in realtà i risultati mostrano una situazione del tutto opposta. Di seguito citerò i dati fondamentali (si consideri che si tratta di valori necessariamente approssimati, ma ciò che conta è l’assunto generale).
- Nel periodo 2000-2019 si stima che vi siano stati, come media annua globale, 4,6 milioni di morti dovute alle basse temperature a fronte di 0,49 milioni per quelle elevate. Un rapporto quindi di 9,4 a 1 in favore del freddo. Emergono notevoli differenze fra aree geografiche, con le temperature basse che in tutti i casi inducono una mortalità ben maggiore; ad esempio, in Europa il rapporto è di 3,7 a 1.
- Durante il periodo oggetto dello studio, la crescita della temperatura globale ha determinato un aumento dei decessi per il caldo e un contemporaneo, ma assai più ampio, calo di quelli da freddo; al netto si riscontra così che la risalita delle temperature ha causato una diminuzione delle morti valutabile in circa 170 mila unità all’anno.
Sono numeri che, credo indiscutibilmente, dimostrino come l’enfasi posta in questi anni sui crescenti rischi da calore sia scollegata dalla situazione reale, nella quale i problemi relativi al disconfort da freddo risultano, senza alcun dubbio, essere quelli prevalenti. Nel loro commento ai risultati, gli Autori sembrano fare un accenno in tale direzione, per poi riallinearsi però ai dogmi della crisi climatica; possiamo infatti leggere nel testo: «La temperatura media giornaliera globale è aumentata di 0,26°C per decennio durante questo periodo, di pari passo con una forte diminuzione dei decessi correlati al freddo e un moderato aumento dei decessi correlati al caldo. I risultati indicano che il riscaldamento globale potrebbe ridurre leggermente i decessi netti legati alla temperatura, sebbene, a lungo termine, si prevede che il cambiamento climatico aumenterà il carico di mortalità.»
Perché il cambiamento climatico dovrebbe aumentare la mortalità? Nessuna spiegazione; pare un vero e proprio atto di fede. Si pensi che un eventuale raddoppio delle morti da caldo sarebbe compensato da una riduzione del solo 10% di quelle da freddo.
In sintesi, un ennesimo esempio della grande distanza esistente su molte tematiche fra i dati reali e quanto generalmente sbandierato, non solo dai media, ma anche da enti internazionali quali il WHO (Organizzazione Mondiale per la Salute) e il WMO (Organizzazione Mondiale per la Meteorologia).