Atlante WMO docet ...
Una rilevante eco mediatica hanno avuto queste parole pronunciate nei giorni scorsi dal presidente del consiglio Draghi, in un discorso tenuto al Mef.
La frequenza delle catastrofi aumentata di 5 volte: da dove ha ricavato tale informazione il nostro leader? Dall’Atlante del WMO sui disastri climatici (al quale avevo già dedicato la scheda postata sabato 18).
A pagina 16 possiamo infatti leggere quanto sotto riportato, unitamente alla connessa Fig. 4 che appare alla pagina 19 del documento in oggetto; ho evidenziato le frasi più significative.
La questione mi pare ALLUCINANTE ! Non esagero se dico che un qualsiasi docente avrebbe giudicato come del tutto inadeguato un approccio del genere per una banale tesina universitaria, riguardante argomenti dei cambiamenti climatici. Cerco di spiegarmi in modo sintetico.
1– Asserire che «il numero dei disastri è aumentato di un fattore 5 nell’ultimo cinquantennio» è, dal punto di vista scientifico, una clamorosa falsità. Di 5 volte sarà eventualmente aumentato quello delle segnalazioni presenti nell’archivio utilizzato per la stesura dell’atlante, cioè l’EM-DAT (Emergency Events Database), gestito dal CRED (Centre for Research on the Epidemiology of Disasters) dell’università cattolica belga di Lovanio. Non potendo esistere una procedura normalizzata di registrazione di un “disastro” è ovvio che il numero di segnalazioni nel tempo è pesantemente influenzato da una serie di fattori (attenzione al problema, variazioni nella vulnerabilità territoriale, incremento della densità di popolazione, interesse dei media ecc.) che nulla hanno a che vedere con la stima di effettive modificazioni della frequenza degli eventi estremi. Valutare quindi delle serie storiche così ricavate con quest’ultima finalità assume davvero il sapore di una truffa.
Di queste puntualizzazioni non vi è però cenno nel testo dell’atlante, mentre sarebbe stato indispensabile richiamarle, visto che nella premessa (si badi bene, redatta da Petteri Taalas, il Segretario generale del WMO) si afferma categoricamente: «gli eventi estremi – meteorologici, climatici e idraulici – stanno crescendo e diventeranno più frequenti e severi in molte parti del mondo a causa dei cambiamenti climatici».
2 – L’andamento del numero di vittime è in evidente contrasto con quella che sarebbe la crescita (5 volte) del numero di catastrofi. Dal 1970 a oggi la popolazione mondiale è più che raddoppiata: grosso modo da 3,7 a 7,9 miliardi di individui. A parità di altre condizioni al contorno, le vittime si sarebbero pertanto dovute decuplicare (5x2) e invece si sono ridotte del 70%. Una cosa così eclatante viene rapidamente giustificata con la semplice citazione di una frase dell’IPCC: «A importanti progressi nei sistemi di allarme rapido in tutto il mondo è stato attribuito il merito di aver ridotto i decessi dovuti a condizioni meteorologiche, climatiche e rischi idraulici». Pensando soprattutto alle condizioni di molti Paesi arretrati ripetutamente colpiti da disastri di vario tipo, vi sembra una giustificazione che possa adeguatamente spiegare i termini quantitativi del problema?
3 – Il grafico sulle perdite economiche e il relativo commento (aumento di 7 volte dei danni), piuttosto che informazioni tecniche, paiono un infantile tranello, volto a confondere le idee di poveri sprovveduti. Ai fini di qualsiasi questione si voglia trattare, che senso ha presentare dei dati di precedenti decenni, che non siano stati normalizzati alla situazione attuale? NESSUNO, perché vari fattori, quali l’inflazione, la crescita della popolazione, l’aumento della vulnerabilità territoriale di determinate aree e le modificazioni alle diverse scale dei sistemi economici, rendono ovviamente non comparabili i valori grezzi riferibili a epoche differenti. In Italia, la sola inflazione implica una maggiorazione dei prezzi di circa 18 volte nel periodo 1970-2020. Ragionando secondo le vecchie lire, l’equivalente di un’automobile che nel 1970 costava 1 milione oggi ha un prezzo vicino ai 20; ciò è un dato di fatto, ma se sulla base di esso si asserisse che le auto costano venti volte più del passato, si verrebbe giustamente presi per deficienti.
A puro titolo di esempio, voglio ricordare uno studio della NOAA (Blake S. et al., 2011, The deadliest, costliest, and most intense United States tropical ciclone from 1851 to 2010, NOAA Technical Memorandum NWS NHC-6), nel quale è stata ricostruita la serie storica 1900-2010 dei danni causati negli USA dai cicloni tropicali, riportando i valori delle varie annate a quelli del 2010 (in base all’inflazione, all’incremento della densità di popolazione lungo le fasce costiere e all’aumento del valore esposto, determinato dallo sviluppo dei sistemi economici). Il grafico seguente è disegnato con i dati di questo studio (espressi in miliardi di dollari) e ci permette di constatare che, al posto del “sevenfold” sbandierato nell’Atlante, per quanto concerne la crescita dei danni procurati dagli uragani possiamo scrivere un bello ZERO; il trend di lungo periodo è infatti perfettamente stazionario, nonostante la presenza di un picco nella parte finale della serie, dovuto agli eventi del biennio 2004-2005.
Il prossimo 31 ottobre, inizierà a Glasgow la COP26, cioè la conferenza sui cambiamenti climatici organizzata dall’ONU. Le basi sulle quali i grandi della Terra discuteranno sono purtroppo dei documenti quali l’Atlante di cui stiamo parlando. In gioco ci sono delle decisioni che influenzeranno in modo fortissimo le economie degli anni a venire; sinceramente mi dichiaro molto preoccupato del fatto che queste decisioni verranno prese considerando delle informazioni che, in molti casi, sono in sostanza delle bufale.