Quando i risultati di una ricerca non consentono di ossequiare i dogmi, è necessario scusarsi?
Pisa, 14 marzo 2019
Nell’ultimo numero del Bollettino dell’AIC ho pubblicato (assieme ad un collega) un articolo inerente la distribuzione geografica in Liguria della pericolosità per precipitazioni estreme.
Nell’ambito di tale lavoro è stata anche condotta una verifica in merito all’andamento temporale dei fenomeni, relativamente al periodo 1951-2010. Sono state considerate le serie dei massi annui per gli intervalli di 1, 3, 6, 12 e 24 ore; il cinquantennio 1961-2010 era coperto dai dati digitalizzati dall’Arpal per la redazione dell’atlante climatico, mentre per il periodo 1951-1960 i valori sono stati tratti dagli Annali.
La verifica ha riguardato le stazioni (13 su un totale censito di 60) che avevano oltre il 90% dei dati disponibili lungo l’intervallo temporale in oggetto. Considerando quindi i cinque parametri suddetti, sono stati studiati complessivamente 13x5 = 65 trend; i risultati sono i seguenti:
32 trend crescenti (dei quali 2 significativi)
33 trend decrescenti (dei quali 5 significativi)
È apparso perciò chiaro che non si riscontra alcuna variazione nell’entità degli eventi pluviometrici estremi della Liguria, durante il sessantennio 1951-2010.
Devo pertanto scusarmi anch’io di aver ottenuto tali risultati?
La domanda – evidentemente scherzosa ma al tempo stesso provocatoria – si ricollega a quanto scritto nel 2009 in un articolo uscito sull’International Journal of Climatology (S. Fatichi e E. Caporali, “A comprehensive analysis of changes in precipitation regime in Tuscany”) e consistente in un’ampia analisi statistica dei dati contenuti nell’archivio online del SIR (il Servizio Idrologico Regionale toscano). Dalla ricerca non è emersa alcuna modificazione apprezzabile nei caratteri delle precipitazioni in Toscana durante il XX secolo; tale risultato è perfettamente in linea con quanto il sottoscritto aveva già pubblicato pochi anni prima, sia sul Bollettino della Società Geografica, sia sotto forma di una monografia dedicata alle piogge intense.
Ebbene, Fatichi e Caporali, dopo aver riassunto quanto scaturito dalla loro ricerca, scrivono testualmente nelle conclusioni: «Gli autori presumono che la presenza di numerosi feedback potrebbe ritardare o eliminare le conseguenze del riscaldamento globale sul regime delle precipitazioni, soprattutto in un sistema climatico complesso come quello dell’Italia centrale». Tale affermazione, del tutto gratuita e completamente scollegata dal contesto del lavoro, è riportata addirittura pure nell’abstract, quindi nel frontespizio del testo, dove infatti è analogamente precisato: «La complessità del clima nell'Italia centrale, ovvero l’azione di numerosi feedback, potrebbe infatti distorcere o rimuovere le conseguenze del riscaldamento globale sul regime delle precipitazioni».
Pare allora di essere di fronte a delle vere e proprie scuse per non essere stati in grado di confermare il dogma della “tropicalizzazione” delle regioni mediterranee (In proposito il sottoscritto è ancora in attesa di leggere dei lavori, seri, che possano dimostrare una tesi tanto suggestiva, quanto assurda).
In casi simili mi sembra però opportuno soffermarsi a ragionare sul ruolo dei revisori.
A mio parere, se fossero davvero interessati solo alla qualità dei contenuti, non dovrebbero consentire di far pubblicare delle considerazioni che il lavoro non permette, in alcun modo, di fare; ho invece il forte timore che spesso siano invece sensibili a questioni che finiscono per essere prevalentemente ideologiche.
Nell’articolo in oggetto vi è un errore macroscopico: il grafico della serie dei totali annui mediati sulla regione riporta un minimo nel 1938, stimabile attorno ai 280 mm (si veda subito sotto)
Si tratta di un valore di fatto impossibile, in ragione della posizione geografica della Toscana e dei suoi aspetti orografici; l’errore deriva da un problema esistente nell’archivio online ed oggi rimosso a seguito di una mia segnalazione. Faccio presente da un lato che l’anomalia del grafico è così evidente da essere stata immediatamente notata da tutti gli studenti ai quali ho fatto leggere l’articolo, e dall’altro che un controllo sugli Annali avrebbe permesso di verificare in pochi minuti l’entità dell’errore; si noti che il dato reale del 1938 è vicino agli 800 mm.
Se già è strano che gli Autori non abbiano notato il problema, è però preoccupante che ciò non sia avvenuto neppure da parte dei revisori, i quali sembrano così essersi concentrati maggiormente sulle frasi di ossequio al dogma, piuttosto che su rilevanti questioni climatologiche.