Alcune considerazioni in merito alla disastrosa alluvione nella Spagna orientale del 29 ottobre 2024
19 novembre 2024
Le aree colpite – Il 29 ottobre sono stati diversi i corsi d’acqua che hanno causato serissimi problemi nella Spagna orientale, con ingenti danni materiali e circa 230 vittime. Esaminando la foto da satellite scattata nei giorni immediatamente successivi all’evento, il colore giallo consente di riconoscere le superfici ricoperte dal fango. Estesi allagamenti appaiono procurati dal Rio Jucar e dal suo affluente Rio Magro. Se la città di Valencia (in alto nella foto) non è stata inondata dal suo fiume, il Rio Tura, le alluvioni più disastrose si sono però verificate pochi chilometri a sud di essa, nella zona evidenziata col tratteggio in rosso, dove si è registrato anche più del 90% di tutte le vittime. Responsabile di queste alluvioni è il Poyo, un corso d’acqua minore che sfocia nell’Albufera, una laguna costiera, visibile nella parte centrale dell’immagine e anche accennata nello schema idrografico.
Valencia salva grazie al “Plan Sur” – Come già spiegato nella nota n° 93 della presente serie, nei secoli la città ha sempre sofferto per gravi episodi di esondazione del Turia. Dopo quello disastroso del 1957, fu deciso di varare un grande progetto di difesa dell’abitato (detto Plan Sur), che prevedeva la deviazione totale del fiume a sud della città, costruendo quindi un nuovo tratto di alveo capace di una portata massima stimata in 5000 m3/s, tale quindi da garantire un’elevata sicurezza. È assai probabile che la piena della notte 29-30 ottobre, seguendo il vecchio tracciato, avrebbe allagato il centro storico, mentre nella situazione attuale è stata smaltita senza conseguenze.
La DANA (Depresion Aislada en Niveles Altos) – La perturbazione che ha prodotto le piogge alluvionali ha una tipologia di origine che periodicamente riguarda la penisola iberica. Si tratta dell’evoluzione di una cosiddetta “goccia fredda”, un termine tecnico in meteorologia che indica il distacco della parte terminale di una saccatura e quindi la creazione di un nucleo isolato di bassa pressione in quota. Da questo il nome Dana, riportato in tutti i media e talvolta erroneamente inteso quale nome proprio, mentre trattasi di una sigla dalla lingua spagnola, come chiarito nel titolo del paragrafo.
Le precipitazioni del 29 ottobre – Visto che l’ente nazionale spagnolo (AEmet) non ha ancora pubblicato un rapporto ufficiale sugli eventi dello scorso 29 ottobre, ho fatto prevalentemente riferimento ai contenuti del sito web di avamet (associazione valenziana di meteorologia), un ente locale cui aderiscono i gestori di varie centinaia di stazioni di misurazione, in grado di coprire in modo molto dettagliato il territorio regionale. Di seguito, la carta dei cumulati nel giorno in oggetto.
L’osservazione della carta mostra l’eccezionalità dell’evento, considerando che nell’area delimitata dal colore rosso acceso (una stima di oltre 2 mila km2) i valori sono compresi tra i 250 mm della periferia e gli oltre 500 nella parte più scura al centro; in quest’ultima, alcune stazioni hanno misurato addirittura oltre 600 mm di cumulati giornalieri. Il dato record pare essere però quello di una stazione gestita da AEmet e ricadente sempre nella zona nera: Turis, di cui si riporta il pluviogramma – con dettaglio ai 10 minuti – che era stato fatto circolare il giorno successivo all’alluvione.
Nel grafico si leggeva un totale di 618, ma l’ente precisava che era prevista una correzione a causa dell’evidente mancanza di dati tra le ore 15 e le 16 (ho evidenziato in giallo). Infatti nei giorni seguenti il cumulato è salito a 711, il valore massimo fra tutte le informazioni che sono riuscito a trovare.
Dal pluviogramma si evince che le precipitazioni sono iniziate al mattino con quantitativi già rilevanti (oltre 100 mm) e forte intensità, visto che più di 80 sono caduti in una sola ora. Sono poi seguite quasi cinque ore senza pioggia e quindi una nuova fase violentissima e continua, con massimi di intensità tali da poter essere considerati prossimi ai limiti superiori anche per le regioni mediterranee: 42 mm in dieci minuti e oltre 170 in una sola ora. I meteorologi hanno spiegato che si erano verificati i cosiddetti “temporali autorigeneranti”, cioè delle celle temporalesche a fortissima attività che sono rimaste in azione per varie ore consecutive, grazie al continuo afflusso di correnti calde e umide dal mare. Il cartogramma anemometrico (sempre da avamet) mostra, proprio nell’area ove le piogge erano state più forti, valori ben superiori ai 100 km/h, quasi certamente dovuti a fenomeni di “downburst” generati dai cumulonembi.
Sui media si sono lette o sentite spesso frasi di questo tipo: «in 12h la pioggia di un anno»; sono realistiche? Se in genere si tratta di grosse esagerazioni, in questo caso – almeno per alcune località – possiamo invece rispondere affermativamente, come confermato dal seguente esempio. La stazione Toris Canyapar (avamet) ha avuto un dato giornaliero di 641 mm; considerando che la sua media dei totali annui, nel periodo 2017-2023, è stata di 504 mm, non vi è dubbio che le piogge del 29 ottobre abbiano abbondantemente superato il quantitativo che si potrebbe mediamente attendere in una generica annata.
Appurato ciò, è probabile che sorga anche la domanda se gli eventi eccezionali di cui si detto costituiscano un segnale di preoccupanti cambiamenti in atto. A parte il fatto che ogni singolo episodio non può essere significativo di una tendenza, le considerazioni climatologiche sulla regione valenciana consentono di affermare che non si è evidenziata alcuna variazione nel tempo dei parametri pluviometrici, sia a riguardo dei valori totali, sia degli eventi estremi.
Nell’archivio di ECA&D, sono disponibili per Valencia le serie storiche complete 1938-2023 di svariati indicatori. Il loro studio permette di apprezzare l’irregolarità del clima regionale; si pensi in proposito che l’RX1day (pioggia giornaliera massima nell’anno) ha superato in 10 occasioni il 30% dell’apporto totale medio annuo e che l’RX5day (pioggia massima in 5 giorni consecutivi) per 6 volte ne ha superato il 50%.
Le precipitazioni del 29 ottobre vanno quindi considerate come uno dei vari eventi intensissimi che in particolari situazioni si verificano nel Mediterraneo e che invece non sono conosciuti a Nord delle Alpi.
Danni davvero epocali – Ogni fatto calamitoso viene ormai raccontato nei media con toni molto forzati, al fine di soddisfare le richieste di un sensazionalismo sempre crescente. Nel caso però delle alluvioni in oggetto, l’uso di certi aggettivi non è affatto esagerato perché le immagini provenienti dalle zone più colpite raccontano di case sventrate (come da un forte terremoto), ponti letteralmente spazzati via, centinaia di automobili accatastate o incastrate fino alla volta superiore dei sottopassi ecc.
In effetti, se si escludono alcuni fatti incredibili quali le alluvioni in Venezuela del 1999 o il recente disastro in Libia – catastrofi comunque legate a situazioni del tutto particolari e quindi non certo adatte come raffronti – non ricordo di aver mai visto nulla di simile a quanto emerge da foto e filmati riguardanti alcuni centri abitati posti lungo il corso del Poyo: Picanya, Paiporta, Benetusser, Sedavì, Alfafar, Catarroja. L’unicità deriva dalla morfologia del bacino che mostra un’area collinare nella sua parte alta con forme decisamente dolci, seguita da alcune decine di chilometri di pianura fino al litorale; un quadro quindi caratterizzato dalla mancanza di quelle marcate pendenze che conferiscono alle acque la velocità necessaria a causare certi danni, come avviene per i torrenti montani.
Come è stato allora possibile un disastro di questa entità? Premettendo che non dispongo delle informazioni quantitative indispensabili e che non ho nemmeno la competenza necessaria in idraulica per rispondere in modo esauriente, mi limito a dare delle indicazioni che potranno fungere da spunti di riflessione.
Anzitutto non c’è dubbio che il piccolo bacino del Rio Poyo, stretto tra quelli del Tura e del Magro, vada proprio a comprendere nella sua parte alta quella zona collinare ove si sono registrati i valori di pioggia superiori ai 500 mm. Nella figura che segue ho provato a tracciarne approssimativamente lo sviluppo su uno stralcio della precedente carta delle precipitazioni giornaliere, onde apprezzare quanto ora detto.
La pluviometria giustifica ovviamente una grande piena del corso d’acqua, ma le distruzioni riscontrate mi hanno lasciato comunque stupefatto, parimenti alla stima della portata massima che sarebbe arrivata a 2200 m3/s. A puro titolo di ipotesi, si potrebbe pensare che sia avvenuto anche qualcosa nell’alveo in grado di aggravare ulteriormente la situazione. Alle già abbondanti piogge della prima mattina ha fatto certamente seguito una prima piena che potrebbe aver mobilizzato detriti e altri materiali da tempo presenti in alveo, creando così degli ostacoli al decorso dell’acqua durante la grande piena della sera. Un cedimento improvviso di tali ostacoli avrebbe così prodotto un’ondata ancora più forte.
La questione delle allerte meteo – Era inevitabile che agli ingenti danni materiali e soprattutto alle tantissime vittime avrebbe fatto seguito un mare di polemiche. Fra gli argomenti sollevati, c’è stato quello della mancanza di un allarme alla popolazione, che è stata colta totalmente di sorpresa dalla piena impetuosa.
Non ho informazioni sui sistemi di allerta nella regione valenciana, ma credo che non sia facile dare dei giudizi esaustivi in merito a situazioni limite come quelle del 29 ottobre. Che la Dana avrebbe generato delle precipitazioni intense era stato correttamente previsto, per cui era stata diramata un’allerta rossa, la cui attendibilità veniva poi confermata dalle piogge nella prima mattina del 29. La fine dei fenomeni verso le ore 9 ha fatto pensare che il peggio fosse ormai passato, tanto che dai responsabili della gestione dell’emergenza è giunta comunicazione che la situazione andava considerata in miglioramento. Col senno del poi, questa può essere giudicata un’azione incauta, ma va detto che i temporali autorigeneranti del pomeriggio non erano stati previsti e si sono rivelati di una violenza davvero eccezionale.
Almeno per quanto riportato dai media, pare – come già accennato – che la popolazione non sia stata avvertita che la situazione stava precipitando; c’è però da chiedersi se, in ragione dell’entità e della rapidità dell’evento, anche un’allerta diffusa sui cellulari avrebbe sortito effetti veramente decisivi. Forse per ottenere risultati importanti in casi come questi, si potrebbe pensare a sistemi integrati di monitoraggio continuo che siano collegati a sirene, così come avviene in certe regioni oceaniche per il pericolo di tsunami.
Infine è interessante anche ricordare che un ulteriore fattore negativo è stato costituito dai quantitativi molto bassi di pioggia in tutta la fascia costiera, quindi anche nelle aree urbane che sono risultate l’epicentro del disastro. Questo ha sicuramente impedito a tante persone di percepire il reale stato di pericolo che stava maturando a causa delle torrenziali piogge in atto non molti chilometri a ovest.