Formalmente corretto non significa anche automaticamente onesto dal punto di vista intellettuale

Pisa, 30 ottobre 2017

 

Nell’attuale dibattito sui cambiamenti climatici, credo che una questione di notevole importanza sia quella concernente il rapido capovolgimento paradigmatico che negli anni ’80 ha portato ad imporre le ben note idee sul progressivo riscaldamento globale antropogenico.

 

Nel 2008 Peterson et al. hanno pubblicato un articolo (“The myth of the 1970s global cooling scientific consensus”, Boullettin of American Meteorological Society) mirante a dimostrare come, prima dell’avvento delle teorie dell’IPCC, non fosse vero che nel mondo della scienza prevalesse il convincimento che la Terra stesse andando incontro ad una fase fredda.

Per provare questo, gli Autori hanno effettuato una ricerca bibliografica (per gli anni dal 1965 al 1979) sugli archivi elettronici di Nature, dell’American Meteorological Society e del Journal Storage, in merito a varie tematiche, con particolare riferimento a: temperatura della Terra, riscaldamento globale e raffreddamento globale. Lo scopo della ricerca era di contare i lavori “favorevoli” al caldo e quelli al freddo, onde arrivare ad una sorta di sondaggio indiretto delle opinioni scientifiche dell’epoca.

I risultati di tale ricerca, come evidenziato dal grafico sopra riportato, paiono inequivocabilmente indicare un consenso prevalente verso il riscaldamento piuttosto che verso il raffreddamento, ma in proposito si possono fare le seguenti considerazioni:

 

 

 

1) Innanzitutto 71 lavori in 15 anni sembrano davvero pochi, denotando che le tematiche in oggetto non dovevano essere allora fra le più trattate nel campo della climatologia. Ne deriva pertanto che la generale efficacia della verifica non è così solida come gli Autori ci dicono.

 

2) Nel complesso gli articoli che parlano di riscaldamento prevalgono per 44 a 7 su quelli indicanti un raffreddamento; come giustificare allora che, con una maggioranza (che sembrerebbe) così schiacciante di pareri scientifici, la divulgazione parlasse soltanto del secondo? Gli Autori spiegano che ciò deriva da un errore selettivo dei testi scientifici da parte dei media del tempo; mi permetto di giudicare ridicola tale spiegazione, anche perché bisognerebbe ammettere che i climatologi degli anni ’70 erano o così stupidi da non accorgersi che le loro idee erano totalmente travisate dai divulgatori, o così disinteressati dalle ricadute sociali dei loro studi da non preoccuparsi che all’opinione pubblica venisse proposta una visione opposta rispetto alla loro.

 

3) Peccato che gli Autori si siano dimenticati (??) che nel febbraio del 1979 il WMO ha organizzato a Ginevra la prima conferenza mondiale sul clima; in essa, senza il malefico filtro dei divulgatori, il consenso sul ruolo del riscaldamento generato dall’incremento dell’effetto serra doveva come ovvio risaltare. Invece, chissà per quale strano motivo, nelle conclusioni degli atti congressuali – conclusioni che, si badi bene, non esprimono il pensiero di qualche specifico studioso, bensì rappresentano la posizione di sintesi della comunità scientifica – è contenuto anche un paragrafo dedicato al clima del futuro, in cui si legge: «. . . il moderato raffreddamento che da alcuni decenni sta interessando l’emisfero settentrionale è di entità simile a quella di altri casi di origine naturale; che tale trend si mantenga o meno in futuro è un fatto sconosciuto». Nelle suddette conclusioni il WMO non spende neanche una parola sul possibile riscaldamento nei decenni successivi, nemmeno come velata ipotesi.

 

 

 

In sintesi mi sembra un altro buon esempio di articolo formalmente corretto, ma di fatto guidato dal voler a priori contribuire a sostenere una certa teoria, piuttosto che dall’obiettivo di fornire un reale contributo alla conoscenza.